Mese: Maggio 2020

 

Tumore della cervice uterina

Tumore della cervice uterinaCHE COS’E’

Il tumore della cervice uterina (o del collo dell’utero) è la terza neoplasia più frequente tra le donne, dopo quelle al seno e al colon-retto.In Italia vengono stimati circa 3.700 nuovi casi all’anno con una incidenza di dodici donne ogni centomila. La malattia colpisce il collo dell’utero, ovvero il segmento che pone in collegamento il corpo dell’utero con la vagina. Il rivestimento della cervice uterina è composto da due tipologie cellulari: squamose e ghiandolari, che di conseguenza possono dare origine a due diversi tumori (carcinoma a cellule squamose e adenocarcinoma). Le due zone confluiscono in un’area, la zona di transizione, da cui ha origine la maggior parte dei tumori (l’85 per cento delle diagnosi). Rispetto ad altri tumori, il tumore della cervice uterina ha il vantaggio di essere del tutto prevenibile e comunque ben curabile se rilevato precocemente. In genere, infatti, l’insorgenza di questa neoplasia non è un evento improvviso: spesso è caratterizzata da un’evoluzione lenta, da progressive modificazioni della mucosa di rivestimento del collo che da normale si altera fino ad arrivare al cancro, per motivi non sempre riconosciuti.

I SINTOMI E LA DIAGNOSI

Segno tipico del tumore della cervice uterina è il sanguinamento vaginale è il sintomo più importante: può essere post-coitale, o intermestruale o del tutto inaspettato (come in menopausa). Se la malattia è in fase avanzata, il sanguinamento può essere accompagnato da un dolore pelvico che può arrivare a riguardare anche gli arti inferiori. L’aumento delle secrezioni vaginali anomale può essere un altro segno della neoplasia. I sintomi compaiono in realtà quando la malattia è già in fase avanzata, mentre più spesso le diagnosi avvengono nelle prime fasi: attraverso i test di screening rivolti alle donne sane in assenza di sintomatologia. Il più diffuso rimane il Pap-test, il cui esito permette già di stabilire l’eventuale aggressività di una lesione precancerosa. Se l’esito dell’esame è positivo, lo specialista può indicare l’effettuazione di altri due test: la ricerca del Dna virale del papillomavirus umano (Hpv) e la colposcopia, che permette l’individuazione dell’area più sospetta dove praticare una biopsia. L’esame istologico è dirimente ai fini della certezza diagnostica, anche se un tumore di grosse dimensioni può risultare già alla palpazione o all’esame ispettivo. Per determinare la stadiazione del tumore, dopo aver ottenuto l’esito dell’esame istologico, si ricorre alla diagnostica per immagine (Tac, risonanza magnetica o Pet) per determinare l’estensione del tumore in maniera precisa.

COME SI CURA

Il trattamento del cancro del collo dell’utero è correlato all’estensione della malattia. Tre sono comunque i possibili approcci: chirurgico, chemioterapico e radioterapico (talvolta in associazione). Se la malattia è localizzata, si può rimuovere la porzione di tessuto colpita (conizzazione), senza per questo intaccare l’intero organo. L’isterectomia radicale è invece la soluzione a cui si ricorre se la malattia ha infiltrato gli strati più profondi della cervice uterina e che spesso risulta richiesta anche dalle pazienti, soprattutto se non hanno in mente di affrontare una gravidanza. In questi casi, assieme al ginecologo, si può decidere anche per l’asportazione delle ovaie e delle tube. L’intervento chirurgico può essere seguito dalla radioterapia, che in questo caso può essere anche interna ( brachiterapia ). In ogni caso, la radioterapia non preclude per la donna la possibilità di rimanere incinta dopo la malattia (a patto di aver effettuato un trattamento di preservazione della fertilità). Meno utilizzata è la chemioterapia, che trova spazio nelle forme più avanzate e infiltranti del tumore della cervice uterina.

PREVENZIONE

Pochi tumori possono contare sulla possibilità di essere prevenuti come quello alla cervice uterina. L’opportunità deriva dalla vaccinazione contro il papillomavirus umano (Hpv), oggi offerta gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale a tutti gli adolescenti tra l’undicesimo e il dodicesimo anno di età. Attualmente è disponibile un vaccino nonavalente che, rispetto ai bivalenti e tetravalenti, protegge da più ceppi (nove) del papillomavirus umano e previene anche altri tumori (alla vagina, all’ano, della testa e del collo). Il papillomavirus umano è la causa principale di questo tumore. Sebbene la maggior parte dei papillomavirus umani (al momento si conoscono un centinaio di sierotipi) sia innocuo sotto il profilo oncologico e che solo una parte minoritaria causa il cancro del collo dell’utero, è pur vero che non c’è possibilità che il tumore alla cervice uterina insorga senza la presenza e l’azione trasformante del virus. Dopo il contatto con esso, può svilupparsi una malattia precancerosa, che successivamente può trasformarsi in carcinoma. Il Pap-test, l’Hpv-test e la colposcopia sono gli esami in grado di riconoscere le lesioni pre-cancerose in modo tale da poterle efficacemente trattare (prevenzione secondaria). Le due strategie, adeguatamente integrate, hanno permesso di ridurre in maniera drastica l’incidenza e la mortalità per questa malattia. Sono inoltre considerati fattori di rischio per la malattia anche il fumo di sigaretta e la familiarità. Secondo alcuni studi, inoltre anche l’obesità aumenta la probabilità di ammalarsi, mentre l’allattamento al seno sembrerebbe giocare un ruolo protettivo.

                                                                                    Dottssa Garofalo Greta

Specialista in Ginecologia e Ostetricia

TAG: Tumore della cervice, tumore della cervice uterina

Depressione pre e post parto

DEPRESSIONE PRE E POST PARTO: COME EVITARLA

In Italia ogni anno ne soffrono 90 mila donne, prima o dopo la gravidanza. La depressione pre o post partum (detta anche depressione perinatale) colpisce il 16% delle donne che affrontano la maternità e solo nella metà dei casi viene trattata adeguatamente. A questo fenomeno, così sottovalutato e in molti casi anche non riconosciuto o non trattato, è possibile porre rimedio con la prevenzione e con un giusto inquadramento diagnostico e terapeutico.   

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L’impatto forte di una gravidanza per 1 donna su 7                  

Spesso sottovalutati, i disturbi dell’umore in questo particolare momento della vita possono invece essere un problema molto serio che colpisce le donne in un momento in cui sono vulnerabili e in cui tutti si aspettano di vederle felici. Una donna su sette li sperimenta prima o dopo il parto: il 13% sperimenta già un disturbo dell’umore durante le prime settimane dopo il parto, un dato che sale al 14,5% nei primi tre mesi postnatali con episodi depressivi maggiori o minori, e al 20% nel primo anno dopo il parto.Proprio per questo la Depressione Perinatale è considerata una delle più comuni complicanze durante la gravidanza e nel postpartum. La necessità di trattamenti efficaci è giustificata anche dagli alti tassi di suicidio (circa il 20% di tutti i decessi post-partum) e dalle conseguenze sul neonato.

Curare il disagio psichico in gravidanza e nel post-partum significa non solo trattare la mamma, ma ridurre il rischio di trasmissione intergenerazionale al neonato. A fronte di numerose ricerche scientifiche che documentano gli effetti negativi dei disturbi mentali perinatali sia sulla madre sia sul figlio, la psicopatologia perinatale in Italia risulta ancora sottostimata e non adeguatamente curata, a differenza di quanto accade in molti altri paesi internazionali.

Come si tratta questo disturbo?

depressione pre e post parto 2Nonostante la depressione perinatale sia molto frequente, solo la metà di esse riceve un trattamento appropriato.Dopo un’attenta valutazione psicopatologica è indispensabile condividere con la donna, e quando è possibile anche con il partner, il trattamento più appropriato.Se i sintomi depressivi sono lievi e non hanno un impatto sulla qualità di vita della donna generalmente la psicoterapia rappresenta il trattamento di scelta. Tuttavia quando i sintomi depressivi sono moderati o gravi bisogna prendere in considerazione anche l’utilizzo di una farmacoterapia.

La scelta del trattamento farmacologico non è sempre facile. Tra i farmaci disponibili in commercio gli antidepressivi sono considerati il trattamento di scelta per le donne con depressione nel periodo perinatale. La decisione su quale psicofarmaco prescrivere durante la gravidanza si basa sulla valutazione del rischio beneficio e sui bisogni clinici delle singole pazienti: sia i sintomi depressivi che l’esposizione agli antidepressivi possono essere associati a dei rischi come cambiamenti nella crescita fetale e a una più breve gestazione. Il potenziale aumento del rischio deve essere considerato nel contesto dei benefici del trattamento della depressione in gravidanza o durante l’allattamento.

Esistono prove considerevoli del fatto che la decisione di non prescrivere antidepressivi a una donna in gravidanza che abbia sintomi depressivi da moderati a gravi possa comportare maggiori rischi per la donna e il suo feto che i rischi di esposizione al farmaco stesso.La decisione di utilizzare un trattamento farmacologico in donne in gravidanza e/o in allattamento dovrebbe sempre essere condivisa e discussa con la donna e il suo partner e dovrebbe essere accompagnata da un consenso informato scritto, sia per motivi medici legali, nonché per garantire una corretta comprensione dei rischi e dei benefici del trattamento.

I sintomi della depressione perinatale non sono diversi da quelli della depressione nella popolazione generale, ma nel peripartum spesso sono presenti anche sentimenti di inadeguatezza e scarsa autostima nell’assumere il ruolo di madre e ossessioni di fare del male al bambino. Nel postpartum è importante distinguere il Maternity Blues da sintomi psicopatologici inquadrabili nella Depressione Post partum. Il Maternity Blues è una condizione non patologica, è transitoria e si risolve spontanemente in pochi giorni.

Ben diversa è la Depressione. Quando si parla di Depressione Perinatale si parla anche di “Depressione Sorridente”, ovvero di una condizione solo di apperente felicità, oppure di “Depressione Muta”, ossia la tendenza a nascondere il proprio disagio e la chiusura relazionale da parte della donna. Alla base di queste condizioni c’è la paura della gravida e neo mamma di essere giudicata e di essere vista come una “cattiva” madre .

 

Cosa si può fare per prevenirlo e come agire se ci si accorge di esserne vittima?

Le principali linee guida internazionali sono concordi che per prevenire la depressione perinatale è necessario uno screening rivolto a tutte le donne in gravidanza e nel post partum. Ad oggi sono disponibili diversi strumenti di valutazione della psicopatologia perinatale, anche se non c’è al momento una parere unanime da parte della comunità scientifica sulle tempistiche di somminsitrazione e su quali strumenti utilizzare. La ricerca scientifica tuttavia ha mostrato che uno screening già a partire dal primo trimestre di gravidanza, indipendentemente dalla frequenza, e la prevenzione divulgativa effettuata all’interno dei contesti ginecologici ostetrici prima, e pediatrici dopo, riduce il rischio di psicopatologia materna. Accanto però allo screening sistematizzato e alla prevenzione primaria dovrebbe esserci la presa in carico da parte di professionisti sanitari della salute mentale perinatale, che garantisca la giusta diagnosi e il trattamento personalizzato per ognuna delle donne individuate a rischio sviluppare un disturbo depressivo.

Dott.ssa Garofalo Greta-

Specialista in Ginecologia e Ostetricia

TAG: Depressione pre e post parto; depressione pre parto; depressione post parto

Gambe gonfie in gravidanza

5 CONSIGLI CONTRO LE GAMBE GONFIE IN GRAVIDANZA

Gambe gonfie in gravidanza

Fra i risvolti negativi della gravidanza ci sono alcuni disturbi, generalmente di lieve entità, che possono però ridurre la qualità di vita della donna. Tra questi il gonfiore agli arti inferiori: le gambe si appesantiscono e si avverte una sorta di sensazione di stanchezza. Quali sono i rimedi a disposizione delle future mamme per far fronte a questa condizione

Perché le gambe diventano gonfie

Il gonfiore degli arti inferiori è riconducibile alle modificazioni meccaniche e biochimiche che subisce il corpo delle donne oltre che all’esposizione ad alcuni fattori ambientali. Sicuramente c’è una predisposizione genetica all’insorgenza di questo disturbo ma ci sono dei fattori che possono esasperare l’affezione: il clima caldo, la sedentarietà, trascorrere molte ore in piedi.In gravidanza il corpo della donna subisce alcune variazioni di tipo ormonale: nel primo trimestre aumenta la quantità dell’ormone progesterone e questo favorisce la congestione venosa; inoltre aumenta l’afflusso di sangue verso l’utero per nutrire il feto; proprio l’utero comprime i vasi sanguigni delle gambe interferendo con il ritorno venoso. Infine l’incremento del peso corporeo si scarica sulle gambe appesantendole.Inoltre si verificano delle alterazioni del metabolismo, ad esempio a carico della funzione renale che favoriscono la ritenzione idrica inducendo la formazione di edemi in corrispondenza degli arti inferiori. I liquidi fuoriusciti dalle pareti dei vasi sanguigni li comprimono e causano il tipico gonfiore.

Cosa fare?

Ecco qualche accorgimento per ridurre il gonfiore alle gambe durante la gravidanza:

  • A partire dal primo trimestre di gravidanza può essere utile tenere le gambe alzate utilizzando un cuscino in fondo al letto, magari sotto il materasso, di circa quindici centimetri per poter godere di un riposo confortevole. Ricordiamo che la gravidanza può essere disturbata anche dall’insorgenza dell’insonnia;
  • L’accorgimento è valido anche durante il giorno: «Bastano pochi minuti, di tanto in tanto nell’arco della giornata, con le gambe alzate per favorire la circolazione;
  • Fare attività fisica per stimolare la pompa cardiaca e favorire il ritorno del sangue dagli arti inferiori. Ad esempio è utile passeggiare, a passo non troppo veloce, anche solo trenta minuti al giorno. Anche una pedalata sulla cyclette può essere benefica;
  • I massaggi linfodrenanti manuali possono risultare efficaci sempre che non siano controindicati dal ginecologo. Difficilmente però vi si potrà ricorrere nel terzo trimestre di gravidanza;
  • Per seguire una dieta salutare è bene non eccedere con il consumo di zuccheri e di grassi mentre è utile consumare più cereali integrali, frutta e verdura e legumi secchi per garantirsi il giusto apporto di fibre utile anche per regolarizzare la funzione intestinale;

La prevenzione delle gambe gonfie rappresenta un ulteriore motivo per smettere di fumare. Lo stop al fumo di sigaretta è in primo luogo un’azione imprescindibile per tutelare la salute del feto.

Dottssa Garofalo Greta

Specialista in Ginecologia e Ostetricia

TAG: gambe gonfie, gravidanza